“ Sto aspettando di partire da quando ho scoperto che ci sono strade che portano dovunque io voglia andare “
From ITALY to CANARY ISLANDS
lunedì 21 novembre 2016
lunedì 22 agosto 2016
Fine di un viaggio .... oppure inizio di un altro sogno ?
Sono mille le cose che attorno a me sanno di luoghi lontani, di viaggi, di sudore e fatica ma sopratutto di sogni.
Sono li, inermi sulle mensole che per loro abbiamo fissato al muro.
Da ogni luogo lontano, un po' come tutti, qualcosa ci siamo portati via.
E così in questi anni abbiamo collezionato una moltitudine di piccoli oggetti, pupazzetti che sanno di centro America, sabbie dei deserti, pietre di montagne o deserti rocciosi, tappeti che sanno d'Oriente, balene in legno che sanno di nord, incensi che fumando sanno d'Africa, e mille altri ancora.
Mi guardano, come ogni giorno da anni ormai.
Mi scrutano e mi sorridono nel loro essere immobili quasi a cercare un modo per rianimare in me un sorriso un po' spento.
Siamo a casa, e i nostri piccoli ricordi che vivono sulle mensole della sala dalla quale scrivo sono solo una piccola porzione materiale di un ricordo di ogni viaggio.
Quello che davvero vale, ciò che resterà per sempre anche la dove le mensole dovessero crollare sotto il peso di altri mille pupazzetti, sono e saranno i nostri ricordi, quei piccoli frammenti d'oro dei quali ho parlato in qualche post giorni per sono.
Quelle pagliuzze intrise di ricchezza puramente nostra, quei momenti della durata talvolta di alcuni secondi che però spingono una persona a vivere un viaggio per molti giorni, valgono più di ogni altra cosa, restano con noi, non pesano, non ti obbligano a montare nuove mensole al tuo ritorno e ogni volta che vorrai rivederli, in quei momenti dove non saprai a quale forza appellarti per poter superare un momento difficile, bene allora basterà far riaffiorare una di quelle pagliuzze che hai incastonato nel tuo intimo, farla scivolare sugli occhi, lasciare che si mischino con quella lacrima che inevitabilmente scende nel ripensare a quel particolare episodio ......e ripartire a vivere.
Ognuno di noi vive la fine di un viaggio, qualunque esso sia, in forma diversa.
C'è chi non vede l'ora che forse finisca così da potersi esibire, da poter raccontare, per poter primeggiare su chi magari avrà trovato il tempo nuvolo e la tanto agoniata abbronzatura pare un pò lattiginosa.
C'è chi invece dell'abbronzatura non può fregargliene nulla, del raccontare quanto si sia risparmiato andando chissà dove neppure. Ci sono, posso garantirvi che esistono degli energumeni, scontrosi e antipatici, silenti e solitari, che al rientro vorrebbero potersi isolare ancora, restare nel loro mondo di sudicio ma nobile sudore, vorrebbero potersi non cancellare di dosso la polvere accumulata dai quasi ottomila chilometri di un viaggio solitario, vorrebbero non doversi neppure togliere di dosso quei pantaloni da moto che con te hanno vissuto per giorni, in interminabili e caldissime giornate di viaggi, su ogni curva, ad ogni cambio marcia, con i mille insetti "spiaccicati" su ogni centimetro del tuo abbigliamento.
Per questi ultimi, dei quali con un po di sudicio orgoglio Gisella ed io vi facciamo parte, il mondo moderno ci viene in aiuto.
Così, come per un gioco, durante i duemila chilometri passati a viaggiare da quando il traghetto ci ha ricondotti sulla costa sud della Spagna in quel di Huelva, avevamo già organizzato un toto sfiga del rientro a casa.
Dall'esperienza degli anni passati abbiamo imparato che rientrare a casa, aprire la porta e ritrovare tutto come lo avevi lasciato, non sempre questo rispecchia la realtà.
Dal congelatore rotto, con conseguente pulizia di putrida carne ormai avariata e maleodorante, alle perdite d'acqua, al salvavita saltato....ogni anno qualche sorpresa c'era.
Così quest'anno, durante una "tappina" da 1033 chilometri da Siviglia a Matarò, abbiamo scommesso.
Io, cercando di essere positivo e non banale, ho scommesso cercando di indicare un qualcosa che non ci fosse mai successo, ovvero ....niente.
" io ( dico a Gisella nel frastuono che il vento genera attraverso l'interfono ) scommetto che non sarà successo nulla."
Gisella si prende qualche secondo per riflettere e poi saetta la sua perfida frase " io dico che non avremo acqua neppure per lavarci "
Sorrido dentro un casco che brucia tanto è calda l'aria che respiriamo, ma respiriamo e quindi sorrido due volte.
Sorrido anche nell'ascoltare il racconto che Gisella ed io instauriamo metro dopo metro, cercando di riassumere in pillole il nostro viaggio e facendo emergere quegli istanti che, più di altri, ci hanno fatto vivere.
Siamo partiti da casa con l'obiettivo di raggiungere le Isole Canarie in moto.
Lo abbiamo fatto pensando ad un tragitto che ci portasse a raccogliere sulla visiera del casco la nebbia fredda e umida dei Pirenei, passando anche dal Picos d'Europa.
Dopodiché avevamo messo in conto di attraversare il Portogallo da nord a sud, visitando un luogo del quale poco si parla e che noi non avevamo mai visitato prima.
Il Portogallo è stata una sorpresa a tutto tondo.
Le persone, quel Josè che con la sua gentilissima moglie ci hanno regalato del prosciutto, un pò di melone ed un fresco vino portoghese, tanto da rendere una cena qualunque, nata per essere consumata sotto un telo nella ricerca di un pò di refrigerio, un momento importante, una pagliuzza d'oro che resterà per sempre con noi.
Le strade, magnifiche sotto tutti i punti di vista, sia per la guida sia per il panorama.
Il mare, le scogliere, la natura.
Il Portogallo, sa di buono, sa essere ancora puro, senza far parlare troppo di se, senza cercare di essere troppo il baricentro del mondo, è diventato per noi il baricentro di un viaggio il quale, inizialmente lo aveva classificato solo come parte del tragitto di avvicinamento ad una meta.
Ora con stupore, ci rendiamo conto invece di aver attraversato la meta senza quasi saperlo, e con rammarico di averla lasciata indietro senza ad essa dedicare ciò che lei ha dedicato a noi.
Nel raggiungere le Canarie, partendo come il nostro amico e connazionale Cristoforo Colombo da Huelva esattamente come lui, passano nella testa mille pensieri e mille ammirazione per viaggiatori davvero coraggiosi.
Molti di quelli che secoli or sono partirono da quel porto, con navi sicuramente meno sicure e certamente senza motociclette nella stiva, neppure sapevo che la terra fosse tonda, anzi la loro certezza era la morte, eppure partirono, ingoiando la saliva densa della paura, respirando forte quell'aria come fosse l'ultima.
Chi non ha le palle per ricordare questi uomini e queste donne, che non ha l'umiltà di dedicare un pensiero al cielo mentre sei sul ponte della nave che, solcando i mari grazie a potenti motori a scoppio ti porta senza fatica e senza rischi la dove vorrai andare, non è un viaggiatore.
Un pò come l'amico Cristoforo, anche noi arriviamo alle Isole Canarie ed approdiamo a Lanzarote dove viviamo per pochi ma intensi giorni in quel luogo divorato dall'energia sprigionata da mille vulcani e cesellata dalla maestria del magma degli stessi.
Un piccolo specchio di oceano ci separa da Fuerteventura, che raggiungiamo, respiriamo e su di essa lasciamo che il vento e la sabbia ci accarezzino o ci schiaffeggino a seconda del loro volere.
Il passaggio finale a Gran Canaria ci porta verso un mondo meno vicino al nostro desiderio di mondo, ma pur sempre un nondo che rispettiamo.
Il sogno di questo viaggio, così come un'alba di un importante mattino, poco alla volta si è tramutato in uno splendido e fiammeggiante presente come il sole del mezzogiorno, per poi come ogni cosa osservarlo mentre cala, cercare inutilmente di rallentarne la discesa ma alla fine anche lui tramonta e diventa storia.
Quanto bella ed importante sarà questa storia, dipende da come noi avremo saputo vivere l'alba prima, il mezzogiorno durante ed il tramonto ora.
Non posso permettermi di essere triste quindi, rischierei di rovinare e di perdere gli ultimi sprazzi di luce che ancora si riflettono di un tramonto meraviglioso.
Non posso neppure fermarmi troppo a pensare a cosa sia stato quel giorno passato.
Posso e devo invece cercare di essere migliore per domani, quando ancora il sole rispunterà dal lato opposto cogliendoci forse alle spalle mentre noi ancora cerchiamo di intravederne una sagoma nascosta la dove qualche ora prima se ne era andato.
Una nuova alba ci porterà a sognare ancora.
Un nuovo sogno che cercheremo di trasformare in presente e lasciar scivolare nel suo passato.
Un nuovo sogno che, come quello appena terminato, ci faccia sentire ancora ricchi, ricchi da aver trovato l'oro nel silenzio, la gioia nella solitudine, il sorriso nel vento, lo stupore nella forza di una onda, la pace nel sorriso di uno sconosciuto.
Sognare è bello, non costa nulla, non è un peccato e rende ricchi.
E se qualcuno pensa che sia da bambini farlo, bene, sono felice di essere ancora bambino.
Il viaggio è finito, ma non ciò che il viaggio stesso ci ha donato.
E a dire il vero forse, è proprio per ciò che un viaggio ti lascia addosso dopo che noi viaggiamo.
Quindi ......proprio finito non è
Viaggio in pillole
Portogallo: un mondo buono, semplice e puro. Una sorpresa che ci ha colpito. Un ricordo che sarà indelebile.
Lanzarote: una bomboniera nera. Se l'Islanda potesse vederti sarebbe gelosa di te.
Fuerteventura: la sabbia del deserto Marocchino cerca di conquistarti, ma tu hai il vento, le onde e la forza di mille mulini.
Gran Canaria: ti avrei voluta vedere con gli occhi dell'amico Cristoforo, pura e senza che mille altri conquistadores ti occupassero senza neppure osservarti.
Km totali: 7820
Km su Isole Canarie: 1780
Giorni totali di viaggio: 23
Rientrati a casa oggi pomeriggio verso le 18, rimetto in funzione l'odiato telefono. Quasi per caso mi salta davanti agli occhi una notizia " secondo uno studio effettuato da un gruppo di ricercatori, fra circa 80 anni, sulla terra non esisterà più il silenzio".
Mi fermo a riflettere e ripenso a quelle serate passate ad ascoltare un mondo che ci parlava senza fare rumore.
Socchiudo gli occhi e cerco di sforzare la mia mente per cogliere fra un rumore è quello successivo un frammento suppure piccolo di un silenzio ormai in via di estinzione.
Ad un tratto un rumore più forte di altri mi fa sobbalzare.....DRRRIIIIINGGGGGG......apro gli occhi e quasi attonito chiedo a Gisella " cos'è sto rumore ?"
Gisella con sorriso sarcastico mi risponde " è il campanello di casa Gianni.......apri all'idraulico, manca l'acqua, ho vinto la scommessa "
Fine del post, del blog e del viaggio.
Ma tutto il resto va avanti, e noi ancora più forte !
Gisella e Gianni
mercoledì 17 agosto 2016
Gran Canaria - El Roque Nublo, il nostro essere ricchi
Fatico un po stasera a scrivere questo post.
Sicuramente dipenderà dall'essere a poche ore dal traghetto che ci riporterà sul continente, in quel sud della Spagna da dove poi viaggieremo verso casa.
Dipenderà anche forse dal fatto di avere un po le idee confuse riguardo questo luogo.
A pelle, ancor prima della partenza, era delle tre isole prescelte quella che ci attraeva di meno, infatti per Gran Canaria avevamo destinato solo tre giorni contro i quattro delle due isole precedenti.
Forse non ci sbagliavamo, nonostante vi siano angoli di questo mondo che valgono la pena essere vissuti.
Altri invece mi fanno rabbrividire e fuggire.
Non ho ovviamente la pretesa di scrivere pensando che queste parole siano la regola.
Bensì parto proprio dal presupposto di trasferire una opinione, la mia opinione, e di conseguenza opinabile.
Parto,anche dalla certezza che questo blog è il nostro blog, e pertanto avrò ben la libertà di dire ciò che penso ?
La mia regola si ripete, purtroppo, davvero a malincuore, mi ripeto.
La dove l'uomo si è impadronito degli spazi che la natura aveva reso splendidi, lo ha fatto solo a scopo di lucro e con una indelicatezza che nemmeno una eruzione vulcanica sarebbe in grado di fare.
Sud di Gran Canarie, le montagne del centro scompaiono lasciando lo spazio alle dune di Maspalomas. Dune di sabbia, spiaggie talmente ampie che paiono dei piccoli deserti interrotti solo dal mare.
Vorremmo fare una foto, davvero lo vorremmo, ma l'insieme di tonnellate di cemento incastonate a formare alveari umani dove stipare migliaia di turisti sdraiati sui lettini a bordo piscina, ignari forse persino che a pochi metri alle loro spalle vi sarebbe un mare, un oceano, dai mille colori, dalle mille forme di vita, tutto questo ci fa rabbrividire.
Al mare ci arriviamo solo perché, forse grazie all'attitudine delle tartarughe marine appena nate, sentiamo inconsciamente e riconosciamo ingenuamente la direzione di esso.
Ma dire che lo si possa vedere o fotografare è tutt'altra cosa.
Prendiamo una strada che porta verso l'alto, la dove forse potremo vedere cosa sia davvero la spiaggia dorata di Maspalomas.
Parcheggio la moto, scendo togliendomi il casco, l'aria cocente mi riempie i polmoni e gli occhi.
Ma sopratutto ciò che mi fa pensare è vedere orde di esseri umani, ammucchiati o forse avvinghiati l'uno all'altro.
Quel luogo ci ha provato, ci ha messo nelle condizioni di assaporare una volta ancora quanto sia bello il nulla, senza ombrelloni, senza alberghi, senza cemento, senza tutte quelle cose che fanno parte di un mondo moderno nel quale sempre più a fatica riesco a vivere.
Quel nulla che cerchiamo da sempre e talvolta abbiamo trovato.
Quel nulla che forse esiste anche qui, magari non la dove puoi arrivare sino alla sdraio in auto senza faticare.
Quel nulla che magari ti devi conquistare faticando ed un po rischiando.
Ma è proprio grazie a quel l'insieme di niente, quello per il quale tanta gente ci chiede come faccia a piacerci un luogo dove non esiste null'altro se non noi e gli elementi della natura, è proprio per questo senso di pienezza data dalla solitudine del poco che ci sentiamo anche solo per pochi istanti...ricchi.
Scappiamo via, fuggiamo a più non posso da quel luogo che se solo fossi un vulcano riempirei di lava.
Scappiamo e saliamo in alto, puntando verso il centro dell'isola la dove mille strade si intersecano fa loro disegnando una stella attorno ad un luogo simbolo di Gran Canaria, il Roque Nublo
Imbocchiamo la strada che porta a La Aldea, un taglio nella roccia a picco sul mare, un serpente di curve che per 356 volte in appena trenta chilometri ti costringe a far puntare con la ruota anteriore il vuoto prima di afferrare il manubrio e ruotare nuovamente dal lato opposto.
Trecentocinquantasei curve, tutte d'un fiato senza parlare, cercando di dividere lo sguardo fra ciò che vorresti guardare, ovvero le scogliere, il mare, i giochi che il vento genera, e la strada stessa, che a detta di molti isolani ha provocato molte vittime fra i motociclisti.
Saliamo ancora, sino lassù a quasi 1900 metri sul livello del mare.
La dove le montagne attorno a noi, costruite con maestria da una natura vulcanica ed irrequieta come me, sanno di buono, sanno di luce, sanno di vita pur essendoci quel nulla che, migliaia di corpi arrossati e cotti dal sole laggiù in basso, per fortuna non apprezzano.
Un modo che cambia, che ora ci piace, ci fa stare bene e ci ruba gli occhi.
Il vento soffia le nuvole lontano e da lassù, il Roque Nublo, ovvero uno sperone di roccia vulcanica che pare ancora incandescente, si alza verso un cielo libero da suoni, da rumori, da musiche e da voci.
C'è solo lui a far casino, ma a noi quel tipo di casino piace, ed è lì che rimaniamo per ore, ma sopratutto è lì che torniamo nei giorni a seguire.
Quelle 356 curve, le abbiamo ripetute quattro volte, ma non solo per la bellezza di quella strada, bensì per staccarci, in modo metaforico, da un mondo terrestre e salire la dove un dito di roccia si erge alla ricerca di una pace che sulle dune non troverebbe.
Domani si riparte, di buon ora salperemo da questo luogo e, per somma gioia di Gisella, navigheremo per 36 ore consecutive, raggiungendo nuovamente la città di Huelva nel sud della Spagna.
Da lì, rotoleremo sino a casa, cercando di filtrare ogni singolo istante di questo viaggio come un setaccio cerca le pagliuzze d'oro fra tonnellate di inutile roccia.
Noi filtreremo i nostri pensieri, le nostre emozioni e con quelle scriveremo l'ultimo post per chi, come spero tanti di voi, avranno il desiderio di leggerlo fra qualche giorno.
C'è un posto, magari remoto, magari ostico da raggiungere, un luogo che ti porta via lontano.
Un luogo per molti insignificante, per tanti solo scomodo e privo di attrattive, per tutti quelli che ho visto a Maspalomas un luogo che neppure esiste.
Vi prego, continuate a ritenerlo tale, così che altri come noi che invece cercano il nulla perché nel nulla trovano l'oro, possano ancora trovarlo.
lunedì 15 agosto 2016
Fuerteventura - Oasi fra le onde
Ore 8 del mattino qui alle Isole Canarie, le 9 per chi vive e magari ci legge dalla terra ferma del vecchio continente.
Siamo svegli da parecchio al fine di riuscire a prendere il traghetto, dal quale scrivo, che ci aiuterà a galleggiare su questo oceano sino all'isola finale del nostro viaggio, ovvero Gran Canaria.
Un cielo plumbeo ci ha rinfrescato gli occhi mentre percorrevamo, qualche ora fa, quella ventina di chilometri sino al porto di partenza.
Un ponte della nave scivoloso come il sapone ha reso tecnica la salita nelle viscere del traghetto, ma ora siamo qui, pronti a salpare.
Il mare non pare aver molta voglia di mostrare la componente calma di se, le onde sbattono violentemente contro le pareti di questo ammasso di lamiere e ferro.
Gisella, dal canto suo, non pare gradire molto il fatto di dover ciondolare come una lancetta di un pendolo al fine di controbattere il rollio della nave.
Sarà per questo, spero, che ho le sue unghie conficcate nel polso,della mano destra, e per questo spero che eventuali errori di scrittura mi vengano perdonati.
Sono le 8.05 quando scorgiamo il tipico movimento di una nave che si stacca dalla costa. Quando gli occhi vedono ciò che non vorrebbero vedere quasi se, pur consci di dover partire, vorresti restare.
La nave salpa, la schiuma che le eliche generano schiarisce il blu scuro del mare incazzato di stamane e creano, poco a poco, un inevitabile distacco con la terra ferma.
Guardiamo quest'isola, questa nostra casa per soli quattro giorni, ma tanti sono bastati per farci salire la voglia di viverne un quinto e poi un altro ancora.
Ma partire d'altronde è la miglior via per nutrire il desiderio di tornare, per questo forse, noi non ci fermiamo mai.
Ciò che sino a qualche istante prima ci pareva un mondo, ora metro dopo metro, si fa sempre più piccino. I limiti del mondo di Fuerteventura si delineano da est a ovest, lasciandosi osservare, lasciando percepire la loro infinita vulnerabilità in questo mare che, è lo percepisco dall'affondare delle unghie di Gisella, sale di tono e di intensità.
Fuerteventura, un mondo che ci ha portato lontano senza mai perdere la sua identità ma lasciandoci ricordare luoghi la dove, il cuore o una parte di esso, lo abbiamo comunque lasciato.
Quando arrivi a Corralejo ti accoglie un mare di sabbia, un susseguirsi di dune crea continuità con le onde del mare ma creando una immagini quasi immobile.
Il vento le spettina, lasciando che il suo immobilismo sia vero solo lo si guarda con gli occhi di chi non osserva.
Loro si muovono, lentamente ma senza sosta si spostano. Come noi, che non lasciamo mai agli occhi la libertà di innamorarsi ma facciamo si che sia il cuore a spingerci oltre e agli occhi imponiamo di fare ciò che al loro ruolo compete, osservare, fotografare, immagazzinare nella parte del cervello dedicato alle emozioni.
Le strade scivolano verso l'interno, saltando dalla costa est alla costa ovest, accarezzando mille scogliere a picco sul mare, dove l'aria intrisa di sale annebbia le visiere dei caschi sino ad obbligarci a tappe forzate per ripulirle con un po di acqua.
Viaggiare in moto significa essere parte di ciò che respiri molto più che con altri mezzi, dove permanendo dentro un abitacolo, apparentemente non fa caldo, non c'è sabbia, non c'è vento.
Non sempre il vivere questi aspetti può essere definita una cosa positiva, anzi generalmente se fa caldo, tu lo senti tutto, se c'è sabbia nell'aria tu te la mastichi tutta, se c'è vento ti senti come un panno steso all'albero maestro di un veliero, non parliamo poi delle puzze.....per quelle non basterebbe un intero post per descrivere i vari tipi di "aromi" più o meno naturali che abbiamo respirato in questi anni.
Viaggiare in moto però significa anche fermarsi sul ciglio di una strada arsa dal sole, cercare sul fondo della bottiglietta di acqua che conservi fedelmente nel bauletto per cercare sollievo dal caldo, decidere di sacrificarla per pulire le visiere e mentre sei dibattuto sul fare o non fare questo atto di altruismo verso il tuo casco, girarti e notare che sei in un luogo che toglie il fiato tanto è bello.
Stare in silenzio guardando le palme che oppongono resistenza al vento lasciandosi solo al limite spettinare un po.
Quando hai terminato con le operazioni di pulizia, ti accorgi di essere stato il quel luogo più di due ore, a fare nulla, apparentemente a fare nulla, in realtà quelle due ore saranno con buone probabilità uno dei pochi frammenti di un viaggio che, a distanza di anni, cercherai di ricordare.
Fuerteventura, una terra che si snoda da nord verso sud, stringendosi su se stessa in un istmo sabbioso e fortemente ventoso.
Un luogo dove riesci ad avere escursioni termiche anche di 10 gradì semplicemente spostandoti dalla costa est alla costa ovest.
Un luogo piccino ma grande, come ogni cosa bella in realtà è.
Un luogo nel quale la natura ha incastonato mille emozioni e la storia vi ha portato mille culture.
Dalla poltrona sulla quale sono seduto su questo traghetto, guardo lontano laggiù dove la scia della nave spinge il mio sguardo a cercare e ricordare.
Del nostro mondo di Fuerteventura, con le sue valli dorate, le strade incastonate nella roccia, le dune ventose ed le scogliere millenarie, ormai non resta che una piccola ombra sopra la linea dell'orizzonte.
Ma questo è solo ciò che si vede e che fra pochi istanti scomparirà per sempre.
È a ciò che non si vede o che spesso trascuriamo, che dobbiamo appenderci per continuare ad essere vivi, per cercare sempre di trovare la voglia, l'emozione e la determinazione di non mollare mai.
È come quel mondo, quello di Fuerteventura, enorme e meraviglioso sino a quando lo abbiamo vissuto ora invece divenuto null'altro che un puntino di mare, tanto piccolo da non riuscire più a scorgerlo.
È per queste emozioni che viviamo, per essere sempre un po bambini, per credere che ci sia ancora un mondo fatto sogni, un mondo dove sali su una nave, il mare ti scuote, fa paura.
Tu chiudi gli occhi e ad un tratto, ormai in preda dalla disperazione, apri gli occhi pensando sia l'ultima cosa che farai ed invece....scopri dinnanzi a te un qualcosa.....un Oasi nel mare !!
Puoi aprire gli occhi Gisella e togliere le tue unghie dal mio polso.
Il viaggio di due ore è terminato, siamo arrivato a Gran Canaria,
Un altra isola, un altro mondo, un altra oasi.
sabato 13 agosto 2016
Fuerteventura - Prima fila sul mondo
Solo poche miglia nautiche, o per chi come me è più abituato alle distanze terrestri, solo pochi chilometri, separano Fuerteventura dove ci troviamo, dalla isola che sino a qualche giorno fa è stata la nostra dimora ovvero Lanzarote.
Solo uno spicchio di mare, non più di mezz'ora di traghetto separano questi lembi di terra l'uno dall'altro eppure......sono come due gemelli completamente differenti fra loro.
La prima, della quale abbiamo già parlato, nera e oscura nel suo sapersi distinguere dal cielo blu e dalle acque di mille tonalità.
Fuerteventura invece, sia da subito, ci catapulta in un mondo che ricordiamo con tanto affetto e tanta nostalgia.
Il colore giallo dell'aria densa ed intrisa di sabbia che direttamente dal deserto del Sahara giunge a bordo di un vento incessante, la tingono e la distinguono per il suo essere terra d'Africa.
È questo che vediamo, è questo che respiriamo.
La sabbia sotto i denti, come anni or sono nelle nostre lunghe cavalcate in Tunisia o il tanto amato Marocco.
Ma anche la Siria, la Giordania ovvero terre strappate al deserto, che grazie al sole inclemente hanno fatto emergere la storia di uomini capaci di vivere la dove i mezzi uomini perirebbero.
Fuerteventura ci pare come un libro di storia, un po' la nostra storia, facendo riaffiorare ad ogni curva un ricordo.
Scenario dopo scenario, panorama dopo panorama, pare quasi che madre natura sia stata in grado di cogliere mille cose da ricordare ed intrappolarle tutte insieme su una stretta lingua di terra che il mare cerca, ogni giorno, di conquistare.
Noi siamo qui, Gisella ed io ci siamo giunti a bordo della nostra moto, con le mille incertezze che un viaggio in moto può avere ma con quei mille e più stimoli cardiaci e mentali che un viaggio in moto può dare.
Spostarsi verso l'interno dell'isola, la dove la strada sale sino a raggiungere i 500 metri sul livello del mare, respirare l'aria del vento che spinge talmente forte da farti valutare con attenzione come parcheggiare la moto sul cavalletto onde evitare che il vento stesso la cappotti in terra, essere la in cima a quel monte, ad osservare altri monti che insieme formano una piccola indimenticabile fortezza, osservare quelle pietre, arse dal sole di millenni, che sono lì incastonate e fragilmente deposte non dall'uomo bensì da una essere che ha deciso di regalarci quell'immagine, ecco......quei dieci minuti passati in quel luogo, per me valgono la fatica del viaggio.
Esserci arrivati, è quasi molto simile all'essrci stati portati.....ma non da la stessa soddisfazione.
Fare quel l'ultima curva, con il vento che ti abbaia nelle orecchie, che ti morde le caviglie e che sterza lui il manubrio cercando di fermare la tua folle corsa. Fare quegli ultimi metri che dalla strada ti portano verso il crinale della montagna dalla quale laggiù in lontananza vedi l'oceano.
Fermere la moto scossa dal vento, aprire la visiera del casco e sentire quell'area secca, aridamente secca che brucia gli occhi e scalfisce le labbra.
Guardare oltre a ciò che vedi sino a vedere ciò che vorresti immaginare, ecco tutto questo è possibile con maggior facilità quando te lo conquisti, quando te lo sudi e quando la stanchezza di un viaggio fa si che il viaggio ora davvero appaia un qualcosa che si materializza.
Viaggiare e conquistare, questo fu per secoli la sorgente di vita per molti uomini.
Conquistare non significa soggiogare, per me, per noi, significa essere in grado di arrivarci, di vivere e di sentire ciò che vedi.
Vedere il vento, sentire il mare, sebbene appaiano frasi disarticolate, non è così.
Fermati la notte ed alza il capo, fissa lo sguardo sul cielo e vedrai il vento spingere le nubi contro la luna , vedrai le palme chinarsi e spettinarsi, vedrai il vento.
Chiudi gli occhi e non lasciare che il sonno abbia in te il sopravvento.
Sii forte e lotta, lotta come il mare, come quelle onde che non smettono mai di cercare un appiglio, un modo per conquistare la terra.
Ascolta le onde che risalgono sulla riva e poi, con un concerto di mille note, i sassi e la sabbia respingono ogni singola goccia d'acqua verso il mare.
Vedere ed ascoltare è differente dal guardare e sentire.
Vedere ed ascoltre è una forma d'arte che dovremmo cercare di avere quando ci sediamo in prima fila, di fronte al palcoscenico di questo teatro che madre natura ci ha preparato.
Va in scena ogni giorno, senza interruzione da millenni.
Gli attori sono dei professionisti che, instancabilmente e senza essere retribuiti, si ripetono in mirabolanti magie.
Noi siamo qui, Gisella ed io, seduti in questa prima fila che Fuerteventura ci ha regalato.
Le onde si fanno grandi, il vento le spinge verso gli scogli a ridosso delle delle dune di sabbia che, con dolcezza ma con fermezza, si immergono sott'acqua.
Il vento in parte pare sorreggere le onde nel suo emergere imponenti dal pelo d'acqua, in parte invece spinge la sabbia verso le onde, quasi come ad innescare un contrattacco dove sia la terra a conquistare il mare.
È avvincente questo duello.
Ed è per questo che siamo qui, per non smettere mai, sino a quando ne avremo il tempo e la forza, di ammirare quanto di grande esiste dietro a ciò che di piccolo ed insignificante, pensiamo davvero esista.
Ore 21.20 delle Canarie, buona serata gente, noi stasera siamo a teatro.
mercoledì 10 agosto 2016
Lanzarote - Andarsene per ricordare
Gli occhi lacrimano a causa del forte vento intriso di sabbia.
L'aria semi fresca dei primi due nostri giorni su quest'isola è cambiata.
Inizialmente un vento proveniente da ovest, sfiorando l'acqua dell'oceano, portava sollievo e lasciava sulla pelle una sensazione di fresco.
Improvvisamente, come tutto da queste parti accade, le foglie delle palme che si affacciano sul mare hanno cessato di essere inclinate verso sinistra, un attimo solo di quiete dopodiché il loro senso si è invertito, piegandosi quasi a spezzarsi verso destra.
Di colpo, come un battito di ciglia, come quando la sera dopo aver cucinato l'arrosto ti avvicini al forno per osservarne la cottura, un caldo arido ci ha riempito gli occhi.
Questo vento caldo che arriva da lontano, nonostante tutto non riesco ad odiarlo.
Quanti chilometri anche lui avrà fatto prima di arrivare sino qui.
Cerco di immaginarmelo giusto alcune ora fa, quando prima di scivolare sull'acqua che separa l'Africa da Lanzarote, proprio in quelle terre, e proprio in quelle dune di sabbia non abitate da esseri viventi salvo quelli che la natura ha saputo rendere forti, prima laggiù sarà passato. Caricandosi di calore, riempiendo le sue mille lingue invisibili di sabbia per poi puntare dritto su di noi e lasciare che i nostri occhi diventassero piccole fessure, quasi ad aiutarci a prendere sonno, quasi a rendere un po più selvaggia questa terra che il mare custodisce fra le sue braccia.
Lanzarote, ore 22 dell'ultima nostra sera in questo luogo.
Playa Quemada è buia, fortemente buia salvo le luci che le stelle e la luna ci regalano.
A noi basta, perché sanno di buono.
Il vento urla forte e le onde del mare risuonano con un echeggiare continuo, apparentemente fastidioso se non si pensa che questo è il modo che il nostro mondo ha di comunicare con noi.
Se lo si ascolta, se soltanto provassimo a disattivare tutte le suonerie che del nostro vivere fanno parte, se solo cercassimo di stare zitti ogni tanto, riusciremmo forse ad ascoltare cose che appaiono di un altro mondo mentre invece sono ciò che abbiamo, ciò che siamo riusciti a zittire o a nascondere celando queste immense poesie naturali dietro una tecnologica, artefatta e fastidiosa suoneria di un telefono.
Siamo qui Gisella ed io, siamo seduti fronte mare ad osservare il buio, ascoltare il silenzio, assaporare l'aria prima di odori.
Siamo qui che facciamo cose di un altro mondo, cose che ormai non sai che possono ancora esistere.
Ogni tanto, a turno, come sempre parliamo.
E come sempre cerchiamo di metabolizzare, fissare e far emergere le cose che più ci hanno impressionato.
Com'è stata la tua Lanzarote, chiedo a Gisella cercando anche spunti per un blog che magari nessuno mai leggerà, ma che io cerco di scrivere non per chi non lo leggerà bensì, per anche solo uno di voi che avrà desiderio di scoprire cosa si celi dietro un mondo di abitudini e di frenetiche convinzioni.
Lei risponde così:
Lo sai che anche io come te sono innamorata dell'Islanda, e ogni luogo, per sbagliato che sia, ad essa lo paragono.
Bene, se solo tu fossi in grado di far scomparire come per magia una trentina di gradi, magari meglio trentacinque, avrei l'impressione di essere tornata in Islanda.
Un vento che spazza la moto come fosse un fuscello.
Un mare di lava a perdita d'occhio che fa immaginare un luogo dove la natura sia stata forte, talmente forte da modificare ogni cosa.
Le montagne sono vive, ad ogni sommità si scorge la bocca di un vulcano pronto a borbottare ancora.
Il cielo blu si specchia su un panorama terrestre nero come il carbone.
Cazzo, se chiudo gli occhi e cerco di sentire freddo, mi risveglio in un sogno già visto ma che non vorrei smettere di vedere.
Lanzarote, piccola ma immensa come una gemma che dal mare emerge, mette timore se pensi che quanto viva sia questa terra.
Mi impressiona sapere che siamo in un luogo dove non esiste acqua, eppure si vive.
La natura vive, le piante vivono, gli animali vivono.
Mi impressiona vedere la forza del mare che minaccioso sbatte sulle rocce acuminate.
Ancor più mi esalta vedere come queste ultime rispondano colpo su colpo senza cedere di un millimetro.
Oh certo, non dimentico di essere in un luogo visitato da milioni di turisti ogni anno.
Ma nel contempo mi chiedo cosa, ad ognuno di essi, resti impresso di questo luogo alla fine del viaggio.
Non discuto e neppure critico chi, scendendo da un aereo, si catapulta su una spiaggia, si riempie di olio solare, ed attende sulla graticola spettrale di una spiaggia incandescente e sovraffollata la fine del periodo dedicato all'abbronzatura solo per poterla esibire la prima settimana di rientro in ufficio.
Anche quello è un modo di intendere le vacanze ed un viaggio.
Di certo non il mio.
Guardati Gianni, sembri un operaio che ha lavorato il periodo estivo sul raccordo anulare di Roma, hai la testa e le braccia abbronzate, il resto del corpo è dello stesso colore dei tuoi occhi, e non parlo dell'iride, bensì del bianco del bulbo.
Però tu hai vissuto Gianni, ti sei spinto dentro l'Isola, lottando contro il vento, cercando la strada che porta lassù dove non c'era nessuno. In un isola lunga appen 60 chilometri, noi ne abbiamo fatti cinquecento, cercando di comprenderla, cercando di scoprire cosa si nascondesse dietro una scultura di lava, nata e realizzata non da un famoso artista, bensì da una semplice e quasi ignorata, signora natura.
Ora dimmi tu Gianni, la tua Lanzarote ?
Io ?
Beh......non ho molto altro da aggiungere.
O forse una cosa si.
Sai cosa mi piace di Lanzarote che tu non hai detto ?
Che questo sia stato, oltre ai mille già visti, un altro luogo che ci ha visti insieme, arrivare qui con gli occhi di chi vuole scoprire, stare qui con gli occhi di chi vuole imparare e andare via con gli occhi di chi non saprà mai dimenticare.
Forse la cosa più bella di raggiungere un luogo sta proprio nel riuscire ad andare via senza che questo luogo abbia di te avvertito la presenza.
Domani si riparte e sarà Fuerteventura.
Un altro luogo, un altro sogno, un altro mondo.
lunedì 8 agosto 2016
Lanzarote - La dama ed il suo pirata
Le fragili ma acuminate scaglie di lava vulcanica scricchiolano sotto le ruote della moto mentre, lentamente e distrattamente, percorriamo i primi metri di quest'isola.
Scoprire un luogo nuovo, allungare lo sguardo cercando di memorizzare per sempre ogni singola emozione, cercare quel fotogramma visivo per aiutare la mente a comprendere dove il corpo in realtà si trovi, forse è ciò che facciamo un po' tutti quando arriviamo in un posto mai visto prima.
Un po' come credo sia accaduto secoli or sono, ed io lo immagino così:
" capitano, scorgo delle nubi che avvolgono una terra nera come l'inchiostro. Disse il mozzo appollaiato sulla prua di una nave in legno.
Il capitano, con il volto arso dal sole si avvicina al parapetto della nave, guarda lontano, cercando di penetrare la morbida nebbia che l'umidità del mare crea sulla sommità delle montagne e dei vulcani di una terra che emerge dalle acque.
Ordina all'equipaggio di prepararsi allo sbarco.
Questi quando scendono trovano spiaggia nere come la pece, montagne che si ergono dal mare e vulcani con le loro bocche aperte come mille canarini affamati.
Il capitano afferra per mano la sua compagna e cingendola ai fianchi le si avvicina all'orecchio e sussurra:
mia cara, qualsiasi cosa vedrai ora, qualsiasi cosa sentirai su questa terra, non sarà nulla di già conosciuto, sarà la natura che ci parla, sarà lei che con la sua forza e la sua immensa capacità artistica ha creato, ha plasmato, ha saputo rendere talmente bella che l'uomo, per bravo che esso sia, potrà solo cercare di rappresentare, magari su una tela, magari in un racconto, ma mai è davvero mai, nessuno saprà fare di più di quanto già non sia stato fatto.
Inoltre mia cara, la bellezza di ciò che vedrai, sta nel fatto che ogni giorno sarà differente, ogni giorno più affascinante ed ogni istante che passerai con gli occhi chiusi avrai perso un momento importante della vita di un mondo che non smetterà di stupire ne te, tantomeno chi fra secoli come te, su quest'isola sbarchera'"
I secoli passano, e non saremo stati i primi ma sicuramente i primi a ricordare i nostri amici antenati, anche Gisella ed io su quest'isola siamo arrivati.
Un po come loro, anche noi da una nave, anche noi con gli occhi che cercano lontano immagini da fissare per sempre nei nostri cuori.
La moto scende dalla rampa sdrucciolevole del traghetto che, per 26 ore infinite ci ha cullati nell'oceano Atlantico all'altezza del Marocco.
Non sappiamo molto di questo luogo, tolto ciò che abbiamo letto sulle guide turistiche.
Ma noi non siamo o speriamo di non essere dei semplici turisti.
Al contrario, vorremmo essere in grado di vivere ciò che vediamo e non far si che ciò che ci circonda si avvicini al nostro modo di vivere, che poi è ciò che cerca il turista tipo.
Per questo abbiamo preso casa in un piccolo villaggio di pescatori posto a sud ovest della capitale Arrecife.
Per questo non ci curiamo del sudore che ci pervade e lasciamo che la polvere vulcanica si accumuli su di noi nel viaggiare per ore sulle strade a strapiombo sul mare.
Per questo non commentiamo, non parliamo, non urliamo.
Per questi motivi, che pur banali possano essere, arrivare a sera di un giorno qualunque, tanto ci fa ricordare la dama ed il capitano, forse un pirata, i quali sapevano di essere la dove un sogno li avrebbe portati.
Siamo qui, a Lanzarote, un primo giorno di un viaggio troppo breve per non essere vissuto in ogni suo istante, assaporando anche i secondi più piccoli ed insignificanti.
Siamo sulle strade polverose di un mondo creato dalla natura, un mondo che è stupendo anche grazie all'uomo.
Un uomo che ha il grande merito di aver lasciato intonso ciò che la natura aveva creato.
Forse noi uomini, dovremmo cercare di fare molto di meno per ottenere molto di più.
Siamo dentro la lava che, spinta dal centro della terra con infinita energia, sale sino a noi e modella il nostro mondo di superficie.
Siamo ciò che davvero sentiamo di essere al cospetto di una montagna squarciata dal fuoco che si erge dal mare ed in esso muore nello stesso tempo.
Siamo piccoli, siamo infinitamente piccoli di fronte alla potenza di un mare che scagliandosi contro gli scogli acuminati genera un rumore sordo come un tuono nel deserto.
Siamo felici nel comprendere quanto sia immensa la nostra debolezza, lo siamo perché questo ci pone nella miglior posizione per poter osservare qualcosa di grande, ovvero guardare dal basso verso l'alto una natura che vince anche la dove pare prevalere il nulla.
Il vento, il mare, il fuoco delle viscere della terra, tutto un insieme di elementi che nessuno di noi può domare, ma tutti, indistintamente dovremmo saper e poter ammirare.
Siamo su questi scogli Gisella ed io, la moto alle nostre spalle, è sera tarda e con la mia canna da pesca lancio un esca laggiù, dove il mare pare ancora essere amico prima che le onde si impennino verso il cielo.
Il sole sta tramontando, l'ombra della mia canna si allunga sul terreno così come le nostre, rendendoci alti molti metri in più di quanto in effetti non siamo.
L'aria si fa fresca e tutto questo insieme, credetemi non ha prezzo.
Così come non lo avrà la cena di stasera al ristorante....visto che dal mare nessun essere vivente ha deciso di immolarsi al mio cospetto abboccando all'amo della mia canna da pesca.
" capitano con cosa ceneremo stasera se alla sua canna nessun pesce abboccherà, chiese la dama al pirata.
Non abbia timore mia cara, esiste un luogo di nome Playa Quemada, dove da qui a qualche secolo altri due giramondo approderanno, laggiù in quel villaggio sul mare, dove la notte l'unica luce visibile all'esterno è quella della luna, c'è un tipo che cucina le Lapas, un tipico mollusco delle Canarie, se vorrai potrai sfamarti con quello ed un buon bicchiere di vino.
Mia cara, non aver mai timore di non poterti nutrire,
Sino a quando l'uomo non riuscirà ad alterare la natura, modificando i cibi, distruggendo le stagioni, modificando i climi e nuocendo a se stesso, non temere, la natura saprà sempre metterti nelle condizioni di dire grazie una volta ancora.
Noi, come mille altre forme di vita, siamo parte della natura, ed in essa vivremo sino a quando saremo in grado di esservi parte.
Mia cara, chiudi gli occhi e inspira questo vento, poi dimmi.....cosa senti ?
Capitano, sento l'aria di un luogo vicino ma lontano, sento il freddo delle montagne ma il salmastro del mare.
Sento la sabbia del deserto ma nel contempo la densità della nebbia autunnale.
Sento che sto bene, ecco cosa sento mio capitano.
Sei alle Canarie, sei a Lanzarote mia cara, sei su un isola piccola come una conchiglia ma in essa la natura vi ha incastonato i sogni di mille luoghi diversi.
Sei qui perché ci hai creduto, perché hai voluto,
Sei qui per ascoltare questo mondo, questo vento, respirare quest'aria e poi......andare via lasciando che nulla si trasformi con il tuo passare.
Questo è il modo migliore per far si che fra secoli, magari due tizi che so.....di nome Gisella e Gianni, possano passare da queste parti, chiudere gli occhi e ricordarsi di noi.
venerdì 5 agosto 2016
Null'altro se non un attimo di riposo
GUna vecchia sedia in legno, erosa dal vento e dal sole, è tutto ciò che che abbiamo su questa terrazza di una casa di pescatori affacciata sulle onde dell'oceano.
Quando abbiamo visto questo luogo, questa semplice e spartana abitazione, posta sul lato non abitato della scogliera di Porto Covo, abbiamo compreso che la mancanza di un vero letto, la semplicità dei suoi ambienti e l'assenza di ogni tipo di confort, sarebbero svaniti al solo pensiero di poter stare seduti qui, dove siamo ora, con l'oceano ed il suo frastornante respiro dinnanzi i nostri occhi.
Portogallo, Porto Covo,
Una sera come tante per chi ha la fortuna di vivere questi luoghi ogni giorno.
Una sera importante per chi come noi arriva da lontano, coperto di polvere e sudore,per chi come noi si porta dietro lo stress di una vita densa di appuntamenti, di calendari, di riunioni e di parole.
Parole che sanno di nulla, ora che il solo rumore che si ode è quello di un mare che da millenni parla, ci parla e, seppur invano, cerca di dirci quanto siamo piccoli e fragili, quanto il nostro modo di vivere frenetico, alla ricerca di un qualcosa che di giorno in giorno cambia, sia il modo più assurdo di trascorrere le nostre brevi vite.
Basta stare qui, seduti dove ora noi ci troviamo, per rendersi conto che il canto dei grilli, l'urlo delle onde sugli scogli, ed il vento che insinuandosi nelle fessure delle rocce lavorate dalla natura nei secoli, sono ciò che resterà anche dopo di noi.
Il resto, le nostre paure, i nostri sogni e noi stessi, svaniremo, voleremo altrove e nessuno, tantomeno la natura di noi avrà ricordi.
Chissà quante persone prima di me si sono sedute su questa sedia e hanno cercato di intrappolare quegli istanti, rendendoli unici nel loro essere, urlando contro il vento la loro forza, cercando magari di accecare il sole grazie alla luce della quale crediamo di brillare, eppure.....eppure non siamo nulla di fronte ad un così imponente richiamo della natura, non siamo che uno strumento in grado di pensare, di pensare e cercare di trasmettere questi pensieri, forse maldestramente, ma sicuramente con la forza del cuore e grazie anche alla fluidità che questi luoghi ispirano nello scrivere un post serale.
Abbiamo viaggiato tanto in questi soli sei giorni, passando dalle montagne dei Pirenei, per poi muoverci sulla costa nord della Spagna.
Siamo entrati in Portogallo scendendo gradatamente verso sud. Abbiamo cercato emozioni la dove altri le avevano trovate e siamo rimasti delusi.
Abbiamo quindi deciso di fare ciò che ci riesce meglio, seguire noi stessi ancor prima che noi stessi seguano altro.
Ci siamo spostati verso ovest, sulla costa Atlantica, e continuando a scendere ci siamo imbattuti, davvero quasi per caso, in un luogo che unisce la sofferenza delle persone alla ricerca di una fede tanto profonda quanto apparentemente scenica. Si, ci siamo fermati a Fatima, la dove si narra che Maria sia apparsa a tre persone.
Contrariamente a molti altri luoghi sacri, ho sentito e visto quanto la sofferenza e forse la disperazione, ci spingano a credere, credere in un qualcosa, forse lontano dai miei occhi, credere talmente da prostrarsi in ginocchio e percorrere centinaia di metri in ginocchio sotto un sole cocente.
Sarei uno stolto se giudicassi dall'alto della mia fortunata, ma solo temporaneamente, situazione fisica.
Soffrire può essere una scelta, smettere di soffrire certo no.
Osservare quelle persone muoversi stringendo i denti, strisciando su se stessi, cercando di dare un senso di gioia ad ogni passo sofferente fatto, credo sia stata per me un grande esempio, una dimostrazione di come dovremmo sempre, e ripeto sempre, vivere al cento per cento ciò che abbiamo perché da qui ad un attimo, potrebbe solo essere storia, un semplice ricordo, o forse neppure quello.
Continuiamo a scendere, e per noi moto viaggiatori, un luogo,simbolo di un viaggio,è rappresentato dal raggiungimento incondizionato di un luogo geograficamente estremo.
Il punto più a nord lo avevamo già raggiunto più volte anni or sono, e se ne avremo la forza ed il tempo non escludo di tornarvi ancora.
Ci sono molti luoghi simbolici, oltre al punto più a sud, i vari tropici, l'equatore, ecc ecc.
Il punto più a ovest del continente europeo di terra ferma ci mancava.
Per questa stamattina di buon ora, puntiamo dritti verso Cabo de Roca, uno sperone di roccia a strapiombo sul mare, un aria densa di salsedine, un gran sensazione di voler andare oltre, conquistare ancora un metro di quei soli 4000 km che da quel punto distano dalle Americhe.
Vorrei farlo quel passo, invidio i gabbiani che si alzano in volo e senza limiti, senza problematiche di visti o passaporti, se solo lo desiderano spiccano il volo e vanno lontano, laggiù dove non c'è nessuno, dove non è appararire la cosa più importante bensì essere.
Lo osservo quel gabbiano, il quale con le sue ali bianche color neve e l'estremità di color nero, si alza in volo, sfrutta le correnti di aria che infrangendosi sulla scogliera ne aiutano il risalire.
Sale in alto, è da lì parte verso il suo futuro, fatto di infinto, fatto di orizzonti e colori intensi.
Così come intensi erano i colori dei capelli di quella donna seduta non lontano da noi sugli scogli.
Lei spalle al mare, smartphone nella mano destra mentre con la sinistra laboriosamente si sistemava i capelli.
Ad un tratto si apre lo scenario sulla mimica facciale tipica di chi sta per scattarsi una foto, o meglio dire ai nostri tempi, di chi sta per farsi un selfie.
Le labbra si gonfiano stringendosi fra loro sino a sembrare il culo di una gallina.
Gli occhi diventano istantaneamente sensuali, con quello destro leggermente più chiuso quasi a farsi un occhiolino da sola. La mano sinistra penetra i capelli, così da creare l'effetto spettinato sexi anch'esso.
E via con il servizio auto fotografico.
Una, due, tre, infinite pose, senza mai guardare lo spettacolo,della natura salvo averla come sfondo del suo faccione super truccato.
Un attimo dopo la vedo china su se stessa, impegnata a postare le sue foto su Facebook .....
Fra me e me penso, che forse per molti di noi l'unica reale ragione di un viaggio sta nel poter dire di aver fatto un viaggio.
Per pochi invece, sta nel metabolizzare quel viaggio, renderlo nostro, talmente tanto da non avere quasi il desiderio di raccontarlo ad altri.
Io, faccio parti di questi ultimi.
Portogallo, costa Atlantica del sud.
Domani lasceremo questo meraviglioso paese che, sia per le persone sia per i luoghi, ci ha dato tanto.
Rientreremo in Spagna da dove sabato ci imbarcheremo tutti e tre, Gisella la moto ed io, alla volta della prima delle Isole Canarie.
Portogallo, un luogo che ci resterà dentro, un luogo che abbiamo cercato di vivere, un luogo che vive di sole.
Lo stesso sole che, a meno che tu non sia impegnato in un selfie, vedrai scomparire rapidamente dietro un orizzonte infinito.
Quasi da tristezza vederlo andare via.
A meno di pensare che poi alla fine null'altro è se non un attimo di riposo che il giorno si prende prima di splendere ancora per chi, come noi lo vorrà vivere.
martedì 2 agosto 2016
Il fresco idillio di un bicchiere di Mateus nel torrido pomeriggio di una sera Portoghese
Sedersi la sera a scrivere il post giornaliero, se per qualcuno può rappresentare una semplice operazione quotidiana, non sempre invece risulta essere la cosa più semplice, in particolare dopo tre bottiglie di vino Mateus rosė ghiacciato.
Diciamo che mi impegnerò allo spasimo, diciamo che avrei necessità di un qualcuno che rilegga il mio post al fine di correggere eventuali strafalcioni, e per questo mi affiderò alle forze ancora residue e alla fiducia che in lei nutro, chiederò a Gisella di effettuare un check approfondito al fine di evitare strafalcioni ma sopratutto inaudite derive mentali alle quali rischio di cedere con l'aumento di alcool nelle vene.
Intanto, giusto per rendere il tutto più difficile, il mio amico Josè, un portoghese dai capelli color cenere e lo sguardo ammiccante, ci ha appena portato un bicchiere di Porto, giusto così, giusto per rendere ancora più ardua la scrittura di questo post.
Siamo nella zona del Mateus, un vino rosato che io amo sorseggiare anche in Italia, ma che vi garantisco qui ha tutto un altro sapore.
Siamo nell'entroterra di Porto, in una zona di vigne, dove la temperatura di oggi sfiorarla i 40 gradi ma ora, grazie al leggero vento serale, rende l'atmosfera silente e fresca, solo un cane che abbaia, forse ai cinghiali, rompe il silenzio che il Mateus, il Porto ed il cielo che si fa scuro per la notte, riescono a creare.
Negli ultimi due giorni avevamo incastonato una serie di momenti importanti, programmandoli sulla nostra carta del destino prossimo, indicandoli come quegli istanti che caratterizzano una vacanza.
In particolare erano tre, la strada che costeggia la costa atlantica scendendo verso sud, chiamata la costa della Muerte, il famoso è catalizzante luogo sacro di Santiago de Compostela ed infine il luogo dove la terra si pensava finisse, ovvero Finis Terrae, ovvero al km 0 ( zero ) del cammino di Compostela.
L'attesa è forte, le aspettative tante, come sempre d'altronde quando ci si reca in luoghi famosi e visitati da miriadi di persone.
Ma come spesso accade, e credetemi......accade, ciò che per altri magari è davvero ed indiscutibilmente grande cosa, per noi non lo è.
La costa della Muerte, ovvero la dove si narra che decine di imbarcazioni vennero schiantate sugli scogli a causa della forza delle onde uccidendo tutti gli uomini dell'equipaggio.....in questi giorni di mare calmo e sole acceso, appariva ai nostri occhi come un amorevole gattino che fa giusto le fusa.
Le onde, non più alte di qualche centimetro, lambivano gli scogli con un leggero scroscio d'acqua, tanto tenue da sembrare impercettibile alle orecchie.
Finis Terrae, la dove migliaia di pellegrini, primo fra tutti San Giacomo, si recò per contemplare il luogo dove il mondo termina e nel farlo raccolse la sua famosa conchiglia da appendere al bastone di supporto che ogni viandante che si rispetti possiede, in realtà oggi è un faro, circondato di antenne e ripetitori telefonici ed all'ingresso del camminamento una serie di bancarelle di soveunir sono lì per sfilarti qualche euro dalle tasche.
La natura quella no, quella non tradisce mai, e le onde che si infrangono sugli scogli, gli stessi che questo signor Giacomo, poi diventato santo grazie all'uomo che deciso di renderlo tale, sono ancora lì per noi.
Gratuitamente, ogni secondo, per tutto il giorno e la notte, ogni giorno dell'anno per secoli.....sono lì che cesellano le pietre solo grazie alla instancabile forza di volontà che solo una goccia del mare può avere.
Mi perdo un po' nell'osservare questo spettacolo, ma il tempo corre e noi dobbiamo e vogliamo andare a Santiago.
Ci teniamo anche perché vogliamo respirare quel l'aria, voglio vivere la ragione che spinge donne e uomini di tutto il mondo a percorrere centinaia di km a piedi per raggiungere un luogo.
Qualcosa di speciale ci deve essere, ed io lo voglio sentire.
Arrivati a Santiago, parcheggiamo la moto e, senza la presunzione di essere gioiosi come chi lo ha conquistato a piedi, ci dirigiamo verso la cattedrale.
Un luogo, una storia, una atmosfera che dovrebbe poter trasmettere emozioni passo dopo passo mano a mano che ti avvicini.
Io, nella mia anonima aurea critica, cercavo, annusavo, passavo ai raggi X ogni dove ma non riuscivo a scorgere altro che negozi di souvenir, bancarelle di conchiglie fasulle e suonatori, seppur bravi, ma sempre e solo alla ricerca di un euro per sbarcare il lunario.
Ho avuto modo di osservare chi a piedi, con mille fatiche, in quel luogo ci è giunto affidandosi alle sue sole forze fisiche.
Li guardavo e notavo come fosse quasi più importante l'impresa fisica di essere stati in grado di raggiungere quel luogo che il fatto di aver raggiunto un luogo simbolo di penitenza mistica.
Non voglio e non posso giudicare.
Ma avendo viaggiato in luoghi dove il sentirsi vicino a Dio non rappresenta l'essere visibili e fotografabili in una piazza, bensì essere soli, in un luogo dove se senti davvero qualcosa o qualcuno oltre a te, questi non può che essere Dio, avere attorno a me migliaia di persone, dove ognuna di esse era intente a farsi un selfie con lo smartphone per poterlo postare su qualche social network , ecco, tutto questo ci ha fatto venire una gran voglia di fuggire.
Mateus, ore 21 portoghesi, le 22 in Italia.
Attorno a noi abbiamo nell'ordine: un gatto che penso abbia visto giorni migliori. Una fontanella che con il suo perenne e dolce sciacquio pare essere nata per poterci aiutare a prendere sonno. Un bicchiere di vino, donatoci da Josè il mio nuovo amico Portoghese che non sapevo di avere ma che sono ben grato di aver conosciuto.
E forse qualcun altro, magari proprio lui, colui che alle bancarelle con le conchiglie finte, i suonatori di violino a pagamento, le visite guidate dentro le cattedrali, come noi preferisce un luogo semplice, isolato ma denso di ogni suo essere vissuto, fino in fondo, fino al suo intimo,e se questo è vero e se Dio esiste, sono certo, non lo troverò mai nascosto dietro il sagrato di una cattedrale che posso visitare solo pagando,
Forse, con molte probabilità avrò più possibilità di trovarlo nascosto dietro un file d'erba, sfibrato dal vento, cotto dal sole, rinfrancato dalla frescura di una sera Portoghese.
Se così sarà......avrò un goccio di vino Matteus anche per lui.
Sarà mica un peccato bersi un bicchiere con un vecchio amico ?
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